Bagni San Filippo Storia

Bagni San Filippo nell' Antichità

L'origine romana di Bagni S. Filippo è riportata da diversi testi storici, senza fornire però dirette testimonianze. Fu solo nel 1898 che, grazie agli scavi commissionati dal Ministero della Pubblica Istruzione, si poté confermare che il luogo fu effettivamente abitato fin dall'antichità.
I ritrovamenti comprendevano una necropoli romana costituita da un muro perimetrale con andamento curvilineo che delimitava 8 tombe del tipo a fossa rettangolare, dotate di arredo funebre consistente in pochi vasetti a impasto rosso ordinario, datati al I e II secolo dopo Cristo. All'esterno del muro, a una profondità di circa un metro inferiore alle precedenti, si rinvennero 14 tombe di datazione più tarda.
Oltre alle tombe, furono trovate monete appartenenti al periodo di Costantino, di Domiziano e di Traiano, e alcuni resti di una abitazione con muri a reticolo rivestiti di stucco e pavimento in coccio pesto.

Dopo il 1000

I primo documenti scritto che menziona San Filippo è legato al monastero di Abbadia San Salvatore e risale al'859.
San Filippo viene citata con riferimenti a una pieve, un casale e una villa in alcuni documenti del 1014, 1022, 1023, 1067 e 1085, oltre a un documento di donazione di beni in favore dell'abate di S. Salvatore, sottoscritto nel Dicembre 1084.
I primi riferimenti alle acque calde del luogo si possono trovare su un lascito al monastero di Abbadia San Salvatore datato 1191: «intra pleberium sancti Filippi, positum in comitatu Clusino, omne ius et actiones mihi super his competens terras videlicet et vineas, casas, aedificia, campos, prata et pascua, silvas et aquas calidas et frigidas»
Nel corso dei secoli successivi l'attività delle terme e l'avvicendarsi delle varie signorie che le controllavano è ampiamente documentata.
Dal XII secolo la famiglia dei Visconti, ramo degli Ardengheschi, ebbe l'assoluto dominio su vari luoghi della valle del Paglia, dell'Ombrone senese e dell'Orcia tra cui Bagni S. Filippo. Dal 1350 i diritti sulle terre e le terme di San Filippo iniziano ad avvicendarsi tra le famiglie Visconti e Salimbeni che nel corso del tempo ebbero frequenti legami di parentela e di affari.

Cosimo dei Medici a Bagni San Filippo

Un episodio di notevole interesse per i bagni, è quello del loro restauro intrapreso da Cosimo dei Medici, nel 1566. In quel periodo le terme erano in cattivo stato a causa dei guasti prodotti dalla guerra che gli spagnoli, con i loro alleati fiorentini, avevano condotto contro lo stato senese, e che aveva portato alla disfatta senese e al passaggio della antica repubblica nelle mani di Cosimo dei Medici. Cosimo nel 1561 manifestò l'interesse per il restauro dei bagni, che nell'immediato non ebbe esito, anche perché preliminarmente doveva essere sistemata la questione con i proprietari. Di nuovo si ripresentò il problema nel1564, quando, «per esser smarrite l'acque, et scoperta una parte dell'edificio dove erano le cannelle si possono male rifare, et non fanno quello giovamento, che solevano». Cosimo decise allora di riscattare i bagni, la cui proprietà passò allo stato presumibilmente già nel 1565, e di intraprendere i lavori, che gli esperti stimavano assommare a 130 scudi d'oro; la rendita annuale prevista era di 50 scudi, a cui si doveva aggiungere il ricavato di una zolfiera che vi era compresa. Tuttavia soltanto due anni più tardi si dette inizio ai lavori. Nell'inverno fra il1565 e il 1566, poiché durante la stagione estiva era impossibile lavorare per il caldo e le esalazioni delle acque, si cercò di recuperare l'acqua, la cui sorgente si era abbassata al di sotto delle esistenti fabbriche dei bagni, tanto che in fine si giudicò più opportuno, invece di ricercare l'acqua, utilizzare la nuova sorgente, con la necessità di ricostruire quindi i bagni a valle, nei pressi delle case del paese.

Vita alle terme tra Medioevo e Rinascimento

Per avere un'idea di quale fosse la vita che si svolgeva nei luoghi termali senesi, la fonte più importante è il costituto del comune di Siena, la cui versione volgarizzata è degli inizi del XIV secolo. Queste notazioni sono sufficienti a far capire come la vita ai bagni fosse intesa come un periodo di villeggiatura, dove ci si concedevano svaghi e si intrecciavano con più facilità amicizie. Gli autori che hanno scritto sulle terme senesi mettono quasi tutti in rilievo questo senso di libertà, di gaiezza che caratterizzava il soggiorno termale.
È noto che Caterina da Siena fu condotta da giovinetta ai bagni di Vignoni per cercare di distoglierla dal proposito di farsi monaca. Il Machiavelli, nella Mandragola mette in bocca a Callimaco, speranzoso di conquistare la bella Lucrezia, delle frasi illuminanti sulle occasioni che un soggiorno alle terme avrebbe potuto offrire: «Che è a me! Potrebbe quel luogo farla diventare d'un'altra natura, perché in simili lati non si fa se non festeggiare; ed io me n'andrei là, e vi condurrei di tutte quelle ragion piaceri che io potessi, né lascerei indiretto alcuna parte di magnificentia; fare' mi familiar suo, del marito ... che so io? Di cosa nasce cosa, e 'l tempo la governa». Proprio nella Mandragola S. Filippo viene citata fra le terme consigliate a messer Nicia dal medico. La fama delle terme di San Filippo è confermata dalla presenza di personaggi famosi che si recarono alla cura delle acque. Sembra che il papa Pio II, sofferente di artrite, fosse andato ai bagni nella primavera del 1462, ma sconsigliato dal medico, avesse optato per un soggiorno presso la vicina abbazia di S. Salvatore. Il più noto bagnante è Lorenzo il Magnifico, che soffriva, come altri della famiglia Medici, di gotta; per questa ragione fu un grande frequentatore di terme fra cui quelle di S. Filippo, dove soggiornò per la prima volta nell'autunno del 1484. Secondo quanto riportato, nel 1485 si sarebbero fatti lavori di fabbricati a Bagni S. Filippo per Lorenzo, e ancora nel 1490, in previsione di un suo soggiorno che poi avvenne nell'estate, i senesi avevano approntato oltre alla casa già da lui abitata altre volte, anche un'altra abitazione capace di ospitare fino a dodici persone, evidentemente al seguito di Lorenzo.

La benevolenza della famiglia Medici per Bagni S. Filippo è testimoniata anche dai numerosi membri della famiglia che in varie epoche frequentarono per cura i bagni. È rimasta famosa la guarigione che qui ebbe da un fastidioso mal di capo il granduca Ferdinando II. Di questo soggiorno si è conservata una testimonianza nella lapide che fece scolpire Lelio Guglielmi, proprietario dei bagni; questa, trascritta in seguito da vari autori che si sono occupati delle terme, subì vari spostamenti nel corso dei secoli. Il Pecci la descrisse posta all'esterno dell'ospedale; il De Vegni ne testimoniò l'esistenza nel prospetto del vecchio fabbricato dei bagni; nell'Ottocento fu murata nella facciata dei nuovi bagni e infine nel nostro secolo fu trasportata al lato destro del portone di ingresso dell'albergo delle terme, dove si trova tuttora. La situazione dei bagni in questo secolo venne brevemente descritta dal Gherardini nel corso della sua visita allo stato senese del 1676, confermando che sia il bagno che le case del villaggio non erano in buono stato; tuttavia le cure erano molto efficaci e frequentate. La fabbrica delle docce costruita dal Lanci era già fatiscente, con il tetto scoperto, anche se non sappiamo dove venissero effettuate le cure; come pure incerta è la localizzazione dell'oratorio di S. Carlo, volgarmente detto di S. Filippo, dipendente dalla chiesa parrocchiale, che veniva officiato nel periodo delle bagnature, e dell'Ospedale dove si trovava la lapide di Ferdinando II. Quanto al territorio di Bagni S. Filippo alcuni dati riferiti al popolamento possono aiutarci a capire le sue diverse fasi di sviluppo fra '600 e '700 . Nel 1645 si registravano 117 abitanti (Campiglia ne aveva 750); nel 1745 tutte e due i popoli insieme raggiungevano appena le 614 unità; nel 1833, sempre i due popoli uniti erano cresciuti a 1055 abitanti. Ulteriori specificazioni dovute al Gherardini, riferite al 1676 , fanno ammontare gli abitanti del Bagno a 129 unità, di 57 maschi e 72 femmine. Non è facile interpretare questi dati, si deve però annotare che nel corso del '700 nel territorio di Bagni S. Filippo esistevano altre attività economiche, presumibilmente capaci di dare lavoro a un certo numero di persone.
Sempre il Pecci parla di una cava di zolfo che «non sono molti anni, che alcuni maestri ci aveano fabbricato le fornaci per colarlo, e dicevano che vendevano in abbondanza; vi sono le cave delli spugnoni leggieri, dello spugnone grave travertinoso e qualche poco ancora del marmorino, la cava del giesso è abbondante, e nella strada particolarmente per andare a Bagni di S. Filippo produce la terra alcune pietre, di colore quasi diamantino, che il volgo le chiama diamanti, lunghe quanto un pinottolo senza guscio ... quali più scure e quali più chiare, fatte veramente in punta di diamante da capo e da piedi in tondo ... ; in altra parte poi si vedono alcuni sassi tondi ... che spezzandoli vi si trova in mezzo, come una specie di argento». Le caratteristiche produttive di questo territorio, legate alle acque e ai loro depositi, oltre che alla presenza di altri minerali, sfruttati solo in seguito, sono dunque già ben delineate da questo erudito settecentesco, studioso di storia, che tuttavia non disdegnava di descrivere l'ambiente e le risorse naturali dei luoghi. Al Pecci dobbiamo anche la dimostrazione, attraverso i documenti storici relativi all'Abbazia di San Salvatore al Monte Amiata, della falsità della derivazione del nome del luogo da San Filippo Benizi. Particolare interesse suscitò in lui la grotta del santo, e soprattutto le parole, scritte con lettere poco incavate, sopra l'architrave della porta, la cui incisione egli attribuiva al momento della costruzione, in un periodo posteriore al 1000. Ulteriore prova di un peggioramento delle condizioni economiche nel territorio di Bagni S. Filippo nel corso del '600, e di una graduale ripresa nel secolo successivo, si può evincere dalle vicende del conventino servita, che abbiamo visto restaurato alla metà del '500. Nel 1652 il piccolo convento, a causa del poco reddito, venne soppresso; ma nel 1705, anche per la devozione a S. Filippo Benizi, che era rimasta viva nella popolazione, i serviti decisero nuovamente di restaurare la chiesa e il convento. Ciò avvenne infine nel 1748, come testimoniava una scritta sull'intonaco della controfacciata della chiesa annessa al conventino; nel restauro la chiesetta, originariamente di stile gotico, venne ridotta nelle dimensioni e realizzata in forme barocche, con volta a mezza botte e abside semicircolare. L'interno era ornato di stucchi, che deperirono in breve tempo per essere stati prodotti con calce mischiata alla sedimentazione dei fossi vicini; le finestre erano centinate, secondo il gusto dell'epoca. Oggi non è rimasta traccia né della chiesa né del convento, la cui localizzazione si può dedurre dalla pianta del De Vegni

Leonardo De Vegni e la Plastica dei Tartari

Di Leonardo De Vegni, personaggio di spicco nella cultura della seconda metà del XVIII secolo, si è molto scritto, illustrandone le qualità di letterato, di architetto, di dilettante di scienze naturali. È certamente una figura in qualche modo enciclopedica quella del dottore di Chianciano, a cui Bagni S. Filippo è legato per la fama che assunse la «plastica dei tartari» da lui inventata. La famiglia De Vegni aveva alcuni possedimenti a Bagni S. Filippo e quando Leonardo, che aveva compiuto gli studi in legge a Bologna secondo la volontà del padre, in seguito alla sua morte nel 1757 poté finalmente «riassumere gli studi matematici per applicarli di professione a qualche arte del disegno», si recò ai bagni per studiare il modo di utilizzare le acque tartarizzanti, i cui effetti tante volte in passato aveva osservato. In pochi giorni riuscì a mettere a punto questa nuova arte, di cui dette notizia al dottor Gaetano Monti, pubblico lettore nell'università e professore di storia naturale nell'istituto di Bologna, cui dedicò il volumetto Descrizione del Casale, e Bagni di San Filippo uscito a Bologna nel 1761. Egli scrisse: « ... senz'aiuto di scarpello, o simile arnese, ottengo, quasi immediatamente dall'acqua, bassirilievi di qualunque grandezza, e di qualunque più fino intaglio, candidi, lucidi, e duri a mio piacimento, potendoli avere di tutte quelle consistenze, che abbiamo sopra notate: che sicuramente posso ampliare tale invenzione per ornati d'architettura, lapide scritte, vasche di fontane, e vasi di giardini d'opera rustica, e simili, resistenti all'intemperie dell'aria al pari d'un marmo, e che finalmente spero paterne avere ancora le statue, ed altri lavori di molto sottosquadro; ma con ispesae in comoclgrave, cui non m'é piaciuto fin ora sottopormi » . Nel 1766, in società con Girolamo Gherardini di Celle, istitui una vera e propria fabbrica dei tartari, che godette di vari privilegi da parte del granduca Pietro Leopoldo, nonché di una sua visita il 25 ottobre del 1769; nel 1771 la società precedente fu sciolta e avviata una con Antonio Matteucci di Siena, che ebbe tuttavia vita molto breve. La produzione dei bassorilievi ebbe larga fama e fortuna; nel periodo precedente alla morte del De Vegni, avvenuta nel1801, furono realizzati fra l'altro: un bassorilievo sopra la Porta al Sole di Chianciano, da lui stesso progettata, che è l'unico certo ancora conservato; sei grandi rilievi, su modello di Leonardo Frati, che ornavano la facciata verso il giardino di Boboli della palazzina della Meridiana a Firenze, di cui si è persa ogni traccia; un altro rilievo sulla facciata della fonte dal De Vegni progettata a Seggiano, distrutta alcuni decenni or sono. La fortuna della «plastica dei tartari» continuò ben oltre la vita del De Vegni, tanto da divenire una vera e propria fiorente industria, i cui pezzi oltre ad essere acquistati dai visitatori dei bagni, venivano esportati anche in America. Il procedimento attuato dal De Vegni per realizzare questa sorta di marmo artificiale, venne da lui stesso illustrato in una memoria presentata all'Accademia dei Fiosiocritici di Siena nel 1788, ma pubblicata solo nel 1808. Troppo lungo sarebbe addentrarsi in una dettagliata descrizione delle tecniche messe a punto dall'architetto chiancianese, di cui la Memorrende conto fin nei dettagli, con osservazioni scientifiche di grande interesse; mi sembra sufficiente ricordare che, poste delle forme in modo da ricevere l'acqua non direttamente, ma di riflesso, si veniva con il tempo formando una sedimentazione sulle forme stesse, la cui levigatezza, consistenza, colore, durezza potevano essere predeterminate agendo opportunamente su vari fattori, come la qualità della forma, l'angolatura e la lontananza del modello rispetto al getto riflesso, l'uso di sostanze coloranti. Il De Vegni sosteneva che i lavori cosi ottenuti, oltre ad essere di migliore qualità di quelli realizzati con lo scalpello, erano anche molto meno costosi; per dimostrare questo assunto riportò anche i prezzi di vendita, varianti da un paolo per i pezzi tondi o ovati di grandezza pari a una moneta di dieci paoli, a 20 paoli per pezzi ovati alti 20 pollici. L'industriosità del De Vegni nell'utilizzare le possibilità offerte dalla facilità di lasciare depositi delle acque di Bagni S. Filippo trovò qui altri due campi di applicazione relativi alla «edificatoria» e alla «georgica». Per la costruzione di edifici, anche a volta, bastava alzare la fabbrica con muri a secco, formati da pezzi delle rocce tartarose abbondanti nel luogo, e poi far scorrere nei muri le acque tartarizzanti, che provvedevano a legarli senza uso di malta e calce. «Se mi piace, scriveva il De Vegni che restino i muri bizzarramente scherzati di ondeggianti, pendenti, protuberose, e talora ramose stalattiti, come con molto studio e riuscita non tanto felice si ornano grotte, e fontane co' rottami di tartari ne' giardini, lascio i muri, come le acque gli han collegati: se mi piace averli piani e quasi intonacati, faccio con piccola opera manuale tagliare tali protuberanze, e voltatavi di nuovo l'acqua, in breve tempo gli ho da quella vestiti, e intonacati a piano, o come dicono a Roma, incollati». L'acqua permetteva di creare in pochi giorni, anche dove le pendenze del terreno erano molto forti, mensole e piani, tanto che scriveva: «ho aperto per quelle rupi prima impraticabili ampie strade ... , ho costruite lunghissime gore di orti, vasche grandissime, un mulino da grano fabbricato tutto a volta, e nelle costruzioni, o nell'elevazione superiore, fatto a guisa di un'antico rotondo tempietto». Di queste opere, che conservano ancora, agli occhi di chi ignora le proprietà delle acque, un sapore fantascientifico, è andata distrutta alcuni decenni or sono, per la costruzione della piscina delle attuali terme, una piccola grotta tonda con stalattiti, resto della vecchia fabbrica del mulino da grano, di cui si conserva l'immagine nella incisione del Terreni, oltre che il disegno planimetrico nel catasto Leopoldino del 1823. Un ricordo delle tecniche di costruzione messe in pratica dal De Vegni è tuttavia ancora presente nell'apparecchiatura muraria di alcune vecchie case del villaggio.
Per quanto riguarda la georgica cioè l'agricoltura, avendo l'architetto osservato che le acque, se lasciate stagnanti, in un mese erano capaci di deporre più di un palmo di tartaro farinaceo, applicò questa osservazione alla costruzione di terrazzamenti, sostenuti da muretti cementati secondo la tecnica prima descritta. In questo modo si ottenevano terreni particolarmente fertili, dove impiantare orti e alberi dai frutti particolarmente saporiti. Si deve senz'altro a questa invenzione del De Vegni la costruzione di un nuovo paesaggio a Bagni San Filippo, che in larga parte è quello giunto fino ai nostri giorni.

La Descrizione del Casale, e Bagni S. Filippo di Leonardo De Vegni

Fra i meriti di Leonardo De Vegni nei riguardi di Bagni San Filippo si deve annoverare una completa, documentata storia e descrizione a stampa del luogo, che rimane la fonte principale per chi intenda studiare questo territorio. Rimandando alle frequenti citazioni del libro, più volte utilizzate in questo lavoro, desidero soffermarmi qui sulle notizie che la descrizione ci offre sullo stato del territorio nella seconda metà del '700, rese ancora più chiare da una «Mappa topografica de' Bagni, ed annessi di S. Filippo», la prima incisa direttamente dal De Vegni, preziosa ed efficace fonte per la conoscenza storica del luogo. Sulla scorta di un immaginario viaggio da Campiglia verso Bagni S. Filippo l'autore indugia a descrivere la cava di gesso e i cristalli già notati dal Pecci, per poi avvertire che, terminati i castagni, «l'aspetto di bianchi poggi coperti di tartaro, il fumo, e l'alito ingrato avvisano della vicinanza delle nostre acque». Qui si trovavano tre o quattro mofete, pericolose per gli uomini e le bestie, anche per la difficile individuazione. La mappa abbraccia una estensione che va dall'eremo di San Filippo «orrido per gli scogli smisurati della pietra ... tramezzati da pochi alberi grandi» al fosso della Fonte, oggi detto fosso Bianco: nella parte centrale corre il fosso della Rondinaia, di cui il De Vegni disegna anche il presunto antico alveo. Alla destra del torrente, in una collinetta, si vedevano le vestigia di una vasca tonda, detta il Bollore, dove era una delle più antiche sorgenti. Dal Bollore si dipartivano frammenti dell'antico canale che adduceva l'acqua alle terme, in parte deviato dai frequenti terremoti, che avevano prodotto nel terreno due fenditure profonde circa 30 metri, utilizzate, insieme a grotte scavate dall'uomo, per cavare il minerale di zolfo, di cui al tempo dell'autore si era sospesa da pochi anni la cavatura 75 . Nel suo disegno l'autore indica numerose sorgenti di acqua calda, sfocianti nel fosso della Fonte, in parte a distanza dall'abitato, in parte molto prossime ad esso. Le sorgenti non presentavano alveo costante, tanto che «quantunque quegli abitanti usino qualche diligenza, per impedire che non trabocchi e nelle vicine lor' vigne, e nello stesso Casale, restano di continuo delusi». La pianta del borgo, delineata con grande cura, riporta anche gli edifici che al tempo del De Vegni risultavano diruti, contribuendo a farci conoscere che vi erano state in passato epoche storiche assai più fiorenti del '700. La chiesa parrocchiale è disegnata in posizione alta sull'abitato, diversa dall'attuale localizzazione, che invece si registra nel catasto Leopoldino del 1823. Da questa variazione si può dedurre che lo spostamento avvenne nel lasso di tempo, circa sessanta anni, intercorrente fra le due mappe. Ulteriore conferma è data dalle statue in stucco poste nella parete dell'altare, rappresentanti al centro S. Filippo apostolo a tutta altezza, e ai lati i busti di S. Filippo Benizi a sinistra, e di S. Filippo Neri a destra, recentemente definiti di esecuzione settecentesca.
Qualche decennio più tardi, nel 1795, uscì il volume di Giorgio Santi, professore di storia naturale all'Università di Pisa, che oltre alle numerose osservazioni sulle acque, di cui parlerò in seguito, fornisce una descrizione del territorio in base ad un viaggio da lui qui effettuato nell'agosto 1789. Il Santi, che fu ospite del De Vegni, la cui casa era «La sola passabile in quel miserabile luogo», così scrive: «Sono i Bagni di S. Filippo situati a mezza salita di una collina tartarosa assai declive in vicinanza delle falde del monte chiamato il Zoccolino. Si può dire, che da questa parte qui incominci la radice del gruppo Montuoso, che costituisce il Montamiata. Il fabbricato consiste in un meschino Villaggio composto di poche casucce, ove nulla vi é, che non respiri miseria. Vi sono i Bagni, e vi è una chiesetta dedicata a S. Filippo apostolo, da cui ha preso il nome il villaggio».
Da altre notizie da lui fornite si deduce che le cure termali erano ancora praticate, anche se non è dato sapere in quale struttura, visto che le vecchie terme risultavano dirute. Proseguendo nel suo viaggio egli compie osservazioni sulle zolfiere, che al momento risultavano abbandonate. Nelle grotte di esse si trovavano «concrezioni figurate in forma di funghi, di cavolfiori, e di altri scherzosi oggetti spesso sì belli, che adornerebbero i Musei di Storia Naturale, se la loro fragilità grandissima non le rendesse troppo difficili al trasporto». Entrato in due delle grotte sperimentò personalmente la mancanza di respiro che si aveva abbassandosi verso il terreno. Si sofferma poi a descrivere l'antica sorgente del Bollore, l'eremo di S. Filippo e il conventino servita, che dice essere stato abitato, dopo i padri Serviti, dai Romiti accattoni e, una volta soppressi questi, risultava allora diruto. Vicino al podere Casanuova (ora Pietrineri) descrive le quattro mofete, dette le Puzzolaie per le loro esalazioni micidiali, temute dai pastori e dai contadini . La visita del Santi termina con un elenco dettagliato dei minerali raccolti sul luogo e delle piante che aveva osservato crescere lungo i torrenti Formone e Rondinaia, presso le vigne e nel bosco del romitorio; questa documentazione assume una importante testimonianza scientifica, che potrebbe essere confrontata con lo stato attuale per registrare le modificazioni ambientali verificatesi nel frattempo.

 



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